L’aumento della pena di morte legata alla droga in Iran: una politica repressiva sotto i riflettori

**L’aumento della pena di morte per casi legati alla droga in Iran: una politica repressiva contestata**

Negli ultimi anni, l’Iran ha visto un drammatico aumento dell’uso della pena di morte per reati di droga. Secondo un recente rapporto di Amnesty International, nel 2023 più della metà delle 853 condanne a morte emesse nel Paese erano legate al traffico di sostanze stupefacenti.

Questa inquietante tendenza indica l’utilizzo della pena capitale da parte delle autorità iraniane per instillare il terrore nella popolazione. Tale pratica ha suscitato proteste, soprattutto all’estero, come dimostra una recente manifestazione a Londra organizzata dai sostenitori del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI).

L’Iran si colloca al secondo posto per il numero di condanne a morte, subito dopo la Cina. Questa politica repressiva, in particolare nella lotta contro il traffico di droga, si traduce in un significativo aumento delle esecuzioni. Nel 2023, ben 481 persone sono state condannate a morte per reati legati alla droga, registrando un incremento dell’89% rispetto all’anno precedente.

Il ritorno a una rigorosa politica antidroga in Iran giustifica in parte questo aumento delle condanne capitali. Dopo un periodo di relativa clemenza tra il 2018 e il 2020, caratterizzato dalla sospensione delle condanne a morte per i trafficanti di droga, il Paese ha invertito la rotta a partire dal 2021. Con l’avvento del presidente ultracoservatore Ebrahim Raïssi, la Repubblica islamica ha rafforzato la sua politica repressiva, riducendo le soglie per le quantità di sostanze stupefacenti necessarie per comminare la pena di morte.

Questa ondata di esecuzioni, che colpisce soprattutto la minoranza etnica baluchi, mette in luce le persistenti disuguaglianze e discriminazioni in Iran. Questa comunità emarginata e svantaggiata è particolarmente bersaglio delle condanne a morte legate alla droga. I tribunali rivoluzionari, noti per la loro scarsa indipendenza e attenzione ai diritti della difesa, denunciano un sistema giudiziario ingiusto e arbitrario.

È fondamentale ricordare che la pena di morte non ha dimostrato alcuna efficacia nel deterrente al crimine. Al contrario, solleva gravi questioni etiche e alimenta un ciclo di violenza e ingiustizia. È imperativo che la comunità internazionale intervenga per porre fine a questa pratica barbarica e repressiva in Iran.

In conclusione, l’aumento della pena di morte per i casi di droga in Iran solleva profonde preoccupazioni riguardo al rispetto dei diritti umani e alla giustizia equa. È giunto il momento che le autorità iraniane riconsiderino la loro politica repressiva e adottino misure più umanitarie rispettose delle libertà individuali.

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