La sentenza di Donald Trump: il verdetto si avvicina

Nel silenzioso tumulto dell’aula di tribunale, l’atmosfera oscilla tra torpore e tensione palpabile. Al quindicesimo piano di un vecchio tribunale di Manhattan, una giuria di sette uomini e cinque donne, guidata da un americano di origine irlandese, sta valutando la sorte di Donald Trump. La suspense è al culmine poiché le deliberazioni riprenderanno giovedì mattina.

Il suono stridulo di un allarme ha interrotto bruscamente il cupo pomeriggio di mercoledì, facendo accorrere ai loro posti avvocati, membri del tribunale, polizia e giornalisti. Trump entra, alzandosi il bavero. Sfoggia la sua caratteristica cravatta extra lunga, ma un vistoso oro anziché il rosso della sua campagna “Make America Great Again”.

L’allarme non segnala un verdetto in questo processo di pagamento del silenzio che potrebbe infangare la reputazione del 45esimo presidente condannandolo per un crimine. Si tratta di una richiesta da parte della giuria di rileggere diverse testimonianze complesse e dense, comprese quelle dell’ex magnate dei tabloid David Pecker e di Michael Cohen, ex scagnozzo di Trump. La questione chiave è l’intenzione di Trump di cercare di sopprimere resoconti scandalosi della sua vita privata legati al pagamento all’attrice di film per adulti Stormy Daniels, agevolato da Cohen su ordine del suo capo. (Trump ha negato la presunta relazione con Daniels e si dichiara non colpevole.)

Mentre il giudice e gli avvocati approfondiscono le trascrizioni confuse, una nuova chiamata della giuria richiede la lettura delle istruzioni di Merchan, consegnate con meticolosa cura quella mattina. L’attesa si fa pesante, le speculazioni dilagano. Il desiderio della giuria di analizzare le testimonianze suggerisce che il verdetto non è imminente, sottolineando l’entità della loro responsabilità in un processo cruciale per l’onore di Trump e il futuro del Paese.

Le richieste della giuria evidenziano la questione centrale in questa causa, che utilizza un’interpretazione innovativa della legge per cercare di ritenere Trump responsabile della campagna presidenziale del 2016. Per condannarlo per un reato minore, la giuria deve dimostrare che ha falsificato documenti per nascondere un altro crimine , senza doverne specificare la natura. L’accusa cita violazioni fiscali e tentativi di falsificare altri documenti, suggerendo che Trump potrebbe aver violato la legge elettorale utilizzando mezzi “illegali” per privare qualcuno della vittoria elettorale.

Con lo sguardo fisso sul giudice, Trump osserva la lettura delle accuse con un’espressione a tratti sprezzante e cupa. Le ore passano, la suspense cresce. Bloccato in quest’aula di tribunale, Trump, abituato a destreggiarsi nello splendore delle sue lussuose residenze, sembra ora confrontato con un sorprendente squilibrio di potere rivelato da questo processo.

Lontano dalla sua solita bolla di deferenza come ex presidente, Trump si ritrova alla mercé di questi dodici cittadini di New York. Questo contrasto incommensurabile rivela un lato della sua personalità che il grande pubblico raramente riesce a cogliere. La ruota della giustizia gira, lentamente ma inesorabilmente, e l’esito di questo storico processo segnerà per sempre il destino dell’impetuoso ex leader.

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