### kinshasa: quando il ribelle N’djili
Il N’Djili, questo semplice flusso che si snoda pacificamente ai margini di Kinshasa, è in realtà la rivelazione delle disfunzioni di una città in crescita, Engonen nelle sue contraddizioni. All’incrocio tra la storia coloniale e le derive moderne, questo fiume è diventato il silenzioso testimone di una tragedia annunciata. Le recenti inondazioni, avendo causato più di 30 morti, ci chiedono. Come potrebbe questo fiume, una volta fonte di vita, è diventato un apostolo di morte?
La raccomandazione del colonnello Luc Lukoki, riguardante la regolamentazione del letto di N’djili, tocca solo la complessità di un problema più grande. Oltre alla tecnica, è la questione della pianificazione urbana che sorge. Come controllare l’urbanizzazione anarchica che, nel corso dei decenni, ha soffocato i fiumi sotto uno strato di cemento e case? Le testimonianze dell’ex bourgmestre di N’Djili ci ricordano che lo sfruttamento di questo fiume risale all’era coloniale. Sotto il regno belga, il N’djili era un alleato agricolo, un modello di sviluppo. Oggi è una rivolta. La deforestazione, l’urbanizzazione selvaggia e l’inquinamento regnano sovrani in questo fragile ecosistema.
Non sarà sufficiente commettere una gomma sugli errori del passato per sperare in un’efficace riabilitazione. La domanda politica ritorna sul tappeto: chi è responsabile? I politici locali, complice dello sviluppo scarso o della popolazione, costretti a trovare soluzioni di sopravvivenza? In un paese in cui la legge della giungla sembra spesso prevalere sulla legge della Repubblica, la responsabilità è diluita come il fiume nel fango.
Diamo un’occhiata più da vicino: l’ironia crudele è che questo stesso N’djili, che ha dato da mangiare ai campi negli anni ’50, è diventato un vettore di disperazione. L’inquinamento raggiunge livelli allarmanti e le acque precedentemente pure sono ora una miscela di rifiuti domestici e industriali. Le storie di coloro che, come i soldati della fortuna, cercano di recuperare risorse in queste acque sporche assumono una tinta amara. Ciò evoca una lotta di classe mascherata: da un lato, l’élite che si affretta a erettare le pareti e speculare, dall’altro, i mancini che cercano di appropriarsi di ciò che rimane delle risorse.
Eppure, questa situazione non è inevitabile. Al momento della consapevolezza ambientale, Kinshasa ha l’opportunità di ripensare il suo rapporto con l’acqua. Esistono iniziative, emergono movimenti, ma spesso si imbattono in un muro amministrativo. In che modo quindi riconciliare la necessità di gestione ambientale e gli imperativi del rapido sviluppo urbano?
Facciamo una domanda essenziale: il N’djili è davvero un semplice elemento di geografia urbana o un simbolo del vicolo cieco in cui si trova la città? In un contesto in cui ogni goccia d’acqua sembra sempre più preziosa, non sarà sufficiente per erigere i regolamenti. Hai bisogno di un turno di paradigma. Lontano da una visione tecnocratica, questo inversione di tendenza deve passare attraverso una rivalutazione delle priorità urbane, in cui gli esseri umani e l’ambiente diventerebbero i perni dell’azione pubblica.
Ma poi, mentre la città sta lottando tra modernità e conservazione, possiamo ancora sognare un N’Djili che irrigerebbe storie di vita invece di lasciare gli echi triste delle vite perdute sul suo cammino? L’equilibrio è fragile e ogni giorno la realtà mette in discussione le nostre illusioni. Forse finalmente è tempo di agire, non contro il fiume, ma con esso. È tempo di iscrivere una nuova narrazione nella tumultuosa storia di Kinshasa, una narrazione in cui il N’Djili, invece di essere un semplice tributo, troverebbe il significato di un legame sacro con i suoi abitanti.