Ventitre vite portate via a Gazah, l’orrore dimenticato dietro le giustificazioni militari

Il 9 aprile a Choujaïya, la violenza ha colpito di nuovo, trasportando ventitre vite, comprese quelle di otto bambini. Oltre alle figure tragiche, sorge una domanda cruciale: chi ascolta davvero le grida soffocate sotto le macerie? Mentre l
** Il silenzio dei testimoni: il lato oscuro del bombardamento a Choujaïya **

Il 9 aprile, le esplosioni di violenza risuonavano di nuovo nel distretto di Choujaïya di Gaza. In un incidente di detonazioni, ventitre vite sono state strappate, comprese quelle di otto bambini. La routine crudele del ciclo della violenza continua, ma dietro le figure e i comunicati stampa nascondono una domanda spaventosa: quante di queste voci sono davvero ascoltate? Quante storie, dolore e grida rimarranno soffocati sotto le macerie delle nostre preoccupazioni?

La scena descritta da Ayoub Salim, residente a Choujaïya, è quasi diventata banale in questo angolo del mondo. “I frammenti sono stati rubati in tutte le direzioni”, ha testimoniato, evocando un orrore che disturba tanto quanto affascina l’attenzione. Ma oltre alle figure, come questi 50.846 morti identificati dall’inizio dell’immagine grezza di guerra, prende forma a quella della disperazione che esplode come bombe all’interno di piccoli appartamenti in cui le famiglie si nascondono. Chi pensa ancora a questi bambini che giocavano, spensierati, in un posto che si suppone che siano la loro panchina di sicurezza?

Mentre l’esercito israeliano ha giustificato l’attacco prendendo di mira un “terrorista ad alto taglio di Hamas”, la storia risuona stranamente come un’eco delle storie già ascoltate nel contesto dei conflitti del passato, dal Vietnam ai Balcani. Quante volte abbiamo sentito parlare delle autorità che menzionano “misure per limitare i danni ai civili” anche se viene eseguita una tragica realtà? Questo doppio discorso, che pone il potere militare al di sopra della vita umana, merita di essere esaminato da un altro angolo: quello del prezzo umano pagato per ogni decisione strategica.

L’elefante nella stanza o forse l’avvoltoio sopra le tende sfollate rimane la questione cruciale dei bambini vittime di questa guerra. Non hanno scelto questa vita e tuttavia, hanno subito le conseguenze in modo inimmaginabile. I rapporti dei media, spesso monopolizzati dai dibattiti sulla legittimità militare e sulla lotta contro il terrorismo, sembrano dimenticare di essere bambini, tra risate e pianti, che vivono questa vita quotidiana. Non si può fare a meno di chiedersi se il mondo sia diventato insensibile, complice di un ciclo di fuoco e sangue che fa nascere il bambino in rovina.

E poi c’è il ruolo della comunità internazionale, spesso in silenzio di fronte a questi tragici rapporti. Quando Hamas evoca il sostegno “totale” degli Stati Uniti in Israele, ci si chiede se l’Occidente non è anche diventando uno scudo per le politiche bellicose. Fa freddo nella parte posteriore immaginare che dietro ogni strategia nasconda il desiderio di convalida geopolitica, mentre a terra le grida si mescolano alla polvere delle macerie.

Dietro le dichiarazioni, i portavoce e i comunicati stampa, c’è un’umanità che affondò, oltre il campo di battaglia. Choujaïya racconta una storia che trabocca i forum diplomatici, una storia che vuole essere ascoltata, un dolore che merita di essere sentito. È tempo di sostituire l’umano al centro, di dare la voce non ai potenti ma a coloro che non hanno nemmeno il lusso di sognare un sonno tranquillo per fuggire, anche solo per un momento, all’eco degli attentati.

L’uscita della crisi sembra un sogno lontano, ma la pace non è costruita su rovine. In questo labirinto di violenza, una domanda deve essere ostinatamente imposta: la giustizia è ancora un’opzione o diventa solo un sussurro tra molti altri? La tragedia di Choujaiya il 9 aprile è un triste promemoria che qualsiasi strategia militare ha un costo. Un costo che ogni bambino, ogni madre, ogni vita rubata paga al costo della loro esistenza. Quando, finalmente, avremo il coraggio di smettere di contare i morti e iniziare a sentire i vivi?

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