Promesse fiscali e disilusioni dei cittadini: la Repubblica Democratica del Congo di fronte a una svolta cruciale

A Kinshasa, l
Kinshasa, crocevia di ambizioni e disilusioni, si è svegliato questo lunedì 9 aprile con l’eco dei discorsi labirintici dei leader che credono ancora nella magia di una gestione finanziaria ordinata. A Hilton, il Ministro delle finanze, Doudou Fwamba, ha aperto la palla di un seminario dedicato alle recidive di riscossione delle tasse, evidenziando “il controllo del repertorio dei contribuenti e il recupero del saldo del debitore” come moltiplicatori del miracolo economico del paese.

L’ottimismo di Fwamba ti fa sorridere giallo. Se la volontà è lì, qual è il peso di queste belle parole in una realtà in cui il tessuto economico si rompe sotto tensione? Innanzitutto, che dire di questo famoso “repertorio di contribuenti affidabile”? La realtà congolese lotta per sussurrare nomi nelle grandi manovre fiscali, come se il taxi non fosse altro che un’ombra, invisibile, sfuggente. Cosa possiamo dire su milioni di piccole imprese che, per mancanza di riconoscimento, continuano a vivere nella nebbia, tassati alla cieca o nemmeno affatto?

E dove il buon governo sta discutendo con l’arbitrarietà, ci si chiede se il ministro sa davvero chi si rivolge. Nel suo discorso, Fwamba non ha mancato menzionare i sei impegni del presidente Tshisekedi per il suo secondo mandato, promettendo, tra le altre cose, di “diversificare l’economia” e “rafforzare l’accesso ai servizi sociali di base”. Sì, ma da dove cominciare? Se la sicurezza alimentare e il potere d’acquisto sono prioritari, perché intraprendere l’esercizio titanico in recupero quando alcuni centesimi rubati possono pagare il prezzo per una famiglia affamata ai margini di Kinshasa?

I direttori provinciali, degni eredi di una burocrazia a volte risentita, sentono la doppia penalità: in un momento in cui la sicurezza rimane un concetto contorto nell’est del paese, sono chiamati a negoziare il sottile equilibrio tra efficienza amministrativa e impotenza politica. Incoraggiare lo spiegamento dei registi di Kivu è una grande ambizione, ma come assicurarsi che non siano trofei di inefficacia in un contesto in cui ogni giorno assomiglia a una lotta per la sopravvivenza?

Barnabé Muakadi, il direttore generale delle tasse, ha espresso la sua gratitudine al Divino, un calore umano palpabile in un contesto in cui Dio è l’ultimo ricorso per molti. Ma di fronte alla freddezza delle cifre, il suo riconoscimento sembra quasi derisoriale: 16.548 miliardi di CDF come obiettivo di bilancio per il 2025, è la promessa di un Eldorado a portata di mano che nessuno sembra essere in grado di raggiungere. Nel marzo 2025, il DGI ha riunito 2.635 miliardi – una buona cifra, ma non abbastanza, soprattutto se si considera che rappresenta ancora solo un tremolo rispetto all’immensità dei bisogni.

La domanda che perseguita questi seminaristi sotto i pannelli d’oro di Hilton è: chi trarrà davvero vantaggio da questa impressionante mobilitazione fiscale? I dipendenti pubblici o cittadini di lambda la cui vita quotidiana si riduce a destreggiarsi con aumenti dei prezzi e l’incertezza di una rivolta popolare? Questo seminario, se si tratta di un’opportunità di azione, non dovrebbe essere un club loquace ma un luogo di decisione franco. In effetti, la sfida che attende il paese richiede più del verbo; Chiede l’introspezione sistemica, un vero cambiamento di paradigma.

La domanda che rimane senza risposta è questa: cosa succede se la vera mobilitazione dei ricavi richiedesse la riconnessione dei circoli di potere e cittadini? È tempo di abbandonare questa visione paternalistica delle finanze pubbliche in cui i decisori si destreggiano con le cifre, senza mai verificare se risuonano con l’esperienza del popolo? La Repubblica Democratica del Congo ha ripetutamente dimostrato che può sfidare le tempeste. Ma per giocare troppo con la percezione, promettere troppo senza agire, lo spettro di un nuovo smantellamento del contratto sociale è più che un’ipotesi.

Il seminario dei direttori DGI deve trasformarsi in un vero crogiolo di idee audaci, dimostrando che il recupero delle tasse può rima con equità sociale e non essere riservato a una tecnocrazia disconnessa dalle realtà della vita quotidiana. È urgente ripensare la relazione tra lo stato e i suoi contribuenti, perché in un sistema in cui la sfiducia è la parola chiave, l’imposta non è un diritto, ma un peso. E per una nazione che sogna di emergere, questa è una sfida da affrontare, quella di riconciliare una società con se stessa.

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