### tra le linee della guerra commerciale: chi ne uscirà davvero?
Kinshasa, 9 aprile 2025. Le notizie risuonano come un’eco di vecchi conflitti, una melodia familiare nella grande orchestra della geopolitica. I paesi dell’Unione europea, questo blocco così eterogeneo ma in cerca di unità, decisero di vendicarsi. Un’imposta del 25 % su alcuni prodotti americani, questa sembra essere la risposta prevista per controbilanciare i doveri doganali stabiliti da Donald Trump. Ma sotto questo aspetto di fermezza, è essenziale una domanda cruciale: questa guerra commerciale, che ne uscirà davvero vittoriosa?
Contemplando questa ragnatela di interessi, non si può fare a meno di vedere una contraddizione quasi inquietante. Da un lato, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, annuncia una risposta “ferma e proporzionata”. Ma perché gli occhi dell’UE brillano così forte dietro questa promessa, che sembra essere una pietra gettata in uno stagno che il tuono che afferma di essere? È davvero fermezza o solo un modo per nascondere il tuo imbarazzo, evitando rappresaglie che potrebbero colpire settori cruciali della sua economia?
Prendiamo il bourbon, questa bevanda emblematica dagli Stati Uniti, risparmiata da questo colpo fiscale. Per quello ? Per paura di rappresaglie sul vino europeo? C’è una danza delicata, una serie di sedie musicali tra l’UE e gli Stati Uniti, dove tutti stanno guardando per l’angolo del loro occhio, tremando all’idea di perdere più di quanto possano vincere. Dietro queste cifre, questi milioni di euro, nascondono attori economici che, come spesso, sono i veri perdenti di questa battaglia dei Titani.
D’altra parte, esaminiamo la posizione della Cina. Pronto a realizzare questa guerra commerciale “fino alla fine”. La parola d’ordine è chiara e il Ministero del Commercio cinese non lascia nulla al caso. Con un aumento vertiginoso dell’84 % dei doveri doganali sui prodotti americani, la strategia è chiara: ferita, molto cattiva. E mentre Washington sta lottando nelle sue contraddizioni, Pechino mette in scena uno spettacolo di resilienza e determinazione economica. Chi doveva preoccuparsi dei mercati americani quando hai il controllo del mercato interno?
Da un lato, acciaio e alluminio, dall’altro, la scacchiera dei prodotti di consumo. In questa saga, le filosofie economiche competono come gladiatori nell’arena. L’UE, bloccata tra l’ansia di un’eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti e la certezza che deve difendersi, sembra giocare una partita di fallimenti senza la metà dei suoi pezzi. Nel frattempo, la Cina, forte della sua macchina statale, pone le pedine con un’assicurazione calcolata.
E che dire di queste aziende, queste persone di piccole e medie dimensioni che vedono questa arrampicata con un occhio preoccupato? La loro sofferenza economica è spesso ridotta a una nota a piè di pagina nella grande storia commerciale. Questa guerra fa davvero male. Produttori di soia americani, allevatori di pollame, non possono permettersi di prendere provvedimenti o valutare danni a miliardi di euro a distanza. Sono loro, Sergio e i suoi cinque acri terrestri in Indiana, che devono guardare i prezzi sul mercato, le loro scelte sono riassunte tra sussistenza e fallimento.
Allora chi è il vero vincitore di questa feroce battaglia? Figure e tariffe doganali? O forse gli attori invisibili, invisibili all’orecchio curioso dei giornalisti ma oh quanto è rumorosa nella loro vita quotidiana? In questo concerto caotico in cui ogni nota è un prodotto, un diritto doganale, un giocatore economico preso nel vizio della politica, a volte è difficile vedere il filo conduttore che unisce tutti questi destini.
Il futuro potrebbe non appartenere a nessuno. Col passare del tempo e le tensioni commerciali si intensificano, i consumatori, alla fine, si chiedono cosa sia per loro. Alla fine, tutto questo discorso sulla difesa degli interessi nazionali non eclissano le prove: oltre le cifre, sono in gioco la vita umana e le scelte quotidiane. In questa guerra commerciale, potrebbero esserci più perdenti dei vincitori.