Nel profondo delle foreste della Repubblica Democratica del Congo esiste un settore di sfruttamento artigianale del legname, un’attività che suscita cupidigie e solleva numerose controversie. Secondo uno studio della Banca Mondiale del 2015, infatti, il volume di produzione di legname nel Paese raggiunge tra i 3 e i 4 milioni di metri cubi all’anno, soprattutto grazie allo sfruttamento artigianale.
Questa attività, se regolamentata in modo trasparente e legale, potrebbe non solo creare posti di lavoro e contribuire all’economia nazionale, ma anche preservare in modo sostenibile le risorse forestali del Paese. Tuttavia, la realtà sul campo è molto diversa. Un’indagine condotta nelle province forestali di Equateur, Tshopo e Mai-Ndombe ha rivelato una situazione di illegalità diffusa e la mancanza di un quadro giuridico chiaro.
Nell’Equateur, una delle principali province che forniscono legname ai mercati di Kinshasa, i taglialegna artigianali operano nell’ombra, a volte beneficiando di “permessi politici” rilasciati dalle autorità locali senza che l’amministrazione ne sia informata. Questi permessi finiscono nelle mani di esponenti politici, militari e giudiziari, alimentando così un sistema opaco e illegale di disboscamento.
Di fronte a questa constatazione allarmante, si pone in modo acuto la questione della sostenibilità di questa pratica. È essenziale ripensare la gestione del disboscamento artigianale nella RDC, stabilendo misure di trasparenza, controllo e regolamentazione, per preservare la ricchezza delle sue foreste promuovendo allo stesso tempo uno sviluppo economico sostenibile.
È imperativo che le autorità adottino misure ferme per porre fine a questo sistema di “permessi politici” e garantire uno sfruttamento responsabile e legale delle risorse forestali del paese. Solo un approccio concertato e inclusivo, che coinvolga tutte le parti interessate del settore, consentirà di preservare questo patrimonio naturale essenziale per le generazioni future.