Inquinamento e impunità: disastri ambientali nella RDC

LUBUMBASHI, RDC — Il 13 ottobre 2023 rimarrà una data oscura per la regione di Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo. Sulla strada nazionale 39, vicino al ponte che attraversa il fiume Dikulwe, si è verificato uno spettacolo allarmante. Un rottame accidentale giaceva sul ciglio della carreggiata, a testimonianza di un incidente le cui conseguenze furono tutt’altro che banali. L’agente di polizia presente sul posto ha chiaramente indicato agli automobilisti di rallentare, segnalando così un pericolo urgente.

Lo zolfo, un acido utilizzato nell’industria mineraria per estrarre cobalto e rame, era disseminato sul terreno. Questo prodotto tossico, essenziale per l’economia della regione, si era riversato nel fiume Dikulwe, inquinandone non solo le acque, ma minacciando anche la salute dei residenti che dipendevano da esso per l’approvvigionamento di acqua potabile. Nonostante i primi tentativi di bonifica, lo zolfo persisteva, causando crescente preoccupazione tra la popolazione locale.

Tuttavia, le autorità sembravano minimizzare la gravità della situazione. Jacques Mumba, capo del dipartimento ambientale di Fungurume, aveva assicurato che il fiume si sarebbe decontaminato in meno di 30 minuti, affermazione che si è rivelata lontana dalla realtà. Gli sforzi di pulizia sono continuati per diversi giorni, senza riuscire a eliminare completamente le tracce di questo devastante inquinamento.

Questo triste evento purtroppo non è stato un caso isolato nella Repubblica Democratica del Congo. In un Paese in cui l’industria mineraria regna sovrana, molte aziende hanno continuato a violare gli standard ambientali, spesso godendo della comune impunità. Le popolazioni locali hanno subito le conseguenze di queste pratiche irresponsabili, vedendo direttamente minacciata la loro salute e il loro ambiente.

Il villaggio di Kabombwa, situato a pochi chilometri da Fungurume, ha dovuto affrontare tragedie simili. L’inquinamento del fiume da parte dell’acqua acida proveniente da una fabbrica di produzione di calce aveva portato alla morte di diversi abitanti e costretto altri a lasciare il villaggio natale, lasciando dietro di sé terre ormai sterili e corsi d’acqua avvelenati.

Nonostante le normative esistenti, non sono state effettuate consultazioni obbligatorie con le popolazioni colpite, lasciando gli abitanti di Kabombwa inermi di fronte a compagnie senza scrupoli. Le strazianti testimonianze dei sopravvissuti parlavano di malattie gravi, nascite premature e anomalie congenite, frutti amari dell’attività mineraria senza limiti.

Di fronte a queste tragedie ricorrenti, era urgente adottare misure concrete per tutelare l’ambiente e la salute delle popolazioni congolesi. Le compagnie minerarie dovrebbero essere ritenute responsabili delle loro azioni e obbligate a soddisfare i più alti standard di protezione ambientale. Era in gioco la sopravvivenza delle comunità locali, vittime silenziose di uno sviluppo economico devastante.

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