Sotto tiro: un giornalista palestinese al centro dell’azione

Nessun problema, ecco l’inizio dell’articolo rivisto:

Il 13 maggio 2021 sarà ricordato come un giorno di estrema tensione a Gaza City. Nel cuore delle esplosioni, la giornalista palestinese Youmna el Sayed stava davanti alla telecamera, raccontando in diretta dall’epicentro del conflitto.

A Gaza, già segnata da anni di assedio e guerra, il territorio è stato nuovamente trasformato in un campo di battaglia mentre Israele lanciava un’offensiva militare durata 11 giorni.

Per El Sayed, questa situazione pericolosa non era senza precedenti; Nel corso degli anni, era diventata una testimone incrollabile dei cicli di violenza che governavano la vita a Gaza.

Due anni e mezzo dopo, l’8 ottobre dello scorso anno, El Sayed si è ritrovato in una situazione familiare. Ha annunciato in tempo reale, dal vivo, che un missile israeliano stava prendendo di mira la torre dietro di lei – un edificio che simboleggia la libertà di stampa e che ospita numerose istituzioni mediatiche, tra cui il suo collega di Al Jazeera, Wael Dahdouh – come rappresaglia per un attacco di Hamas il giorno prima.

Quando la torre crollò, El Sayed non fu più solo un osservatore della distruzione; era una sopravvissuta, viveva la stessa storia che aveva raccontato.

Tuttavia, questa volta la portata della devastazione fu molto maggiore. Il bilancio delle perdite umane cresceva e, con esso, il peso delle storie che doveva trasmettere.

Tra queste storie c’era quella di Ashfaaq, 11 anni, che emergeva da un’ambulanza a Khan Younis con il volto ferito.

Stringendo al petto il suo zaino blu, si avvicinò a El Sayed e disse: “Sai cosa ho qui?”

Nella borsa macchiata di sangue c’era il suo fratellino, Ahmed, un triste ricordo del costo umano della guerra.

Per El Sayed queste non erano solo storie, ma lotte personali.

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