Il Summit delle Nazioni Unite sul futuro, che si terrà il 22 e 23 settembre, si presenta come un’opportunità per riaffermare un forte impegno per un futuro più coraggioso, attraverso un nuovo Compact for the Future. Questa iniziativa mira a guidare la governance globale, la pace, lo sviluppo e la sostenibilità per i prossimi decenni. Tuttavia, di fronte alle regressioni democratiche, ai conflitti violenti e alla crescente crisi climatica, è legittimo chiedersi se il multilateralismo, nella sua forma attuale, possa davvero portare cambiamenti significativi.
Una delle maggiori critiche al multilateralismo moderno riguarda la sua incapacità di far fronte all’aumento della regressione democratica. Molte democrazie in tutto il mondo hanno visto le proprie istituzioni minacciate, spesso dall’emergere di leader populisti che minano lo stato di diritto e reprimono le libertà fondamentali. Sebbene la Carta delle Nazioni Unite consideri esplicitamente la pace, la sicurezza e i diritti umani come pilastri essenziali, gli Stati membri continuano a violare questi principi, sia attraverso le loro azioni dirette che con l’inazione.
Questo divario tra gli ideali e la loro attuazione mina la legittimità degli organismi multilaterali. Per evitare che il Patto per il futuro diventi solo un esercizio di comunicazione senza senso, è imperativo includere impegni vincolanti per proteggere i processi democratici e rafforzare lo stato di diritto all’interno degli Stati membri. La società civile, comprese le organizzazioni per i diritti umani e i gruppi di monitoraggio, dovrebbe avere il potere di monitorare questi impegni e garantire che non rimangano solo parole sulla carta.
Conflitto e inazione: l’anello debole dell’ONU
I conflitti a Gaza, in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo hanno evidenziato i limiti delle Nazioni Unite nella risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace. Nonostante le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, i cessate il fuoco e i colloqui di pace, questi conflitti persistono, causando conseguenze umanitarie devastanti. L’inazione degli Stati membri, alcuni dei quali contribuiscono a questi conflitti attraverso la vendita di armi o alleanze politiche, evidenzia l’impotenza dell’azione multilaterale.
Il Patto per il Futuro pretende di affrontare “la pace e la sicurezza internazionale”, ma la continua violenza in queste regioni evidenzia la vacuità di questi impegni. Senza un meccanismo chiaro per ritenere gli Stati membri responsabili del loro ruolo nel perpetuare il conflitto, le Nazioni Unite continueranno a perdere rilevanza. Gli sforzi di costruzione della pace dovrebbero enfatizzare la diplomazia e le soluzioni locali, dove la società civile – già sul campo – svolge un ruolo vitale.
Nel contesto di questi conflitti, le organizzazioni della società civile dovrebbero avere maggiore margine di manovra per mediare e ritenere gli Stati membri responsabili delle violazioni del diritto internazionale. Le Nazioni Unite devono riconoscere che il futuro della pace è locale e deve essere guidato dal basso verso l’alto. L’inclusione di più attori della società civile, in particolare provenienti da aree colpite da conflitti, nei negoziati di pace non è solo un’opzione, ma una necessità.
La crisi climatica: la società civile come chiave mancante
Gli attivisti climatici, in particolare i movimenti giovanili, sono giustamente entusiasti del fatto che il clima sia un tema centrale del vertice. Tuttavia, la risposta globale al cambiamento climatico è stata lenta, caratterizzata da una riluttanza ad adottare impegni giuridicamente vincolanti e da una tendenza a dare priorità alla crescita economica rispetto alla sostenibilità ambientale. La società civile ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere un’azione più coraggiosa per il clima, ma la sua influenza rimane limitata alla sensibilizzazione e non al processo decisionale.
Se il Patto sostiene lo “sviluppo sostenibile”, questo approccio deve essere ampliato per riflettere l’urgenza della crisi climatica. Ciò sarà possibile solo se la società civile sarà inclusa sia nello sviluppo che nell’attuazione delle politiche climatiche. I movimenti per il clima guidati dai giovani, i gruppi indigeni e le ONG hanno regolarmente promosso soluzioni spesso trascurate a favore di compromessi più moderati guidati dallo Stato. Questi attori non dovrebbero essere visti come semplici osservatori o partecipanti marginali, ma piuttosto come partner a pieno titolo nel processo decisionale. Il futuro appartiene a loro e sono loro che hanno più da perdere a causa dell’inazione.
Una nuova visione del multilateralismo
Il Future Summit offre l’opportunità di ripensare il multilateralismo per una nuova era. Trasformare la governance globale, uno dei pilastri del vertice, richiede di andare oltre la diplomazia centrata sullo Stato e di adottare un quadro più inclusivo in cui la società civile abbia un reale potere di influenza. Ciò implica la creazione di meccanismi di responsabilità in cui le ONG, i movimenti di base e le comunità emarginate possano influenzare sia la progettazione che l’attuazione degli accordi internazionali.
Un patto per il futuro realmente trasformativo deve riconoscere che i governi da soli non possono risolvere i problemi più urgenti del mondo. La regressione democratica, i conflitti e la crisi climatica sono tutti sintomi di un problema più ampio: un sistema multilaterale che dà priorità agli interessi degli Stati rispetto al comune interesse globale