I negoziati a Doha rivelano un dialogo sulla facciata tra il governo congolese e i ribelli AFC/M23

A Doha, le speranze di pace tra il governo congolese e i ribelli AFC/M23 sembrano dissiparsi, mentre le discussioni attese da tempo incontrano ritardi e scuse dell
** Doha, un incontro fallito: quando le speranze di pace galleggiano nell’aria calda del Qatar **

Mercoledì 9 aprile, Doha. La città, spesso descritta come quella della miscela di culture e dialoghi salvificanti, è ora testimone di un ritardo inaspettato. I negoziati tra il governo congolese e i ribelli AFC/M23, che sono così previsti, vengono restituiti ai calendari di un’altra era. Di fronte a questa situazione, sorge una domanda: cosa si nasconde davvero dietro queste scuse organizzative che sembrano già pretesti usurati?

I due campi, dal governo congolese ai ribelli AFC/M23, affermano che le condizioni non sono soddisfatte per iniziare il dialogo. Ma facendo un passo da parte, ci rendiamo conto che queste “ragioni organizzative” possono nascondere fratture profonde, storie di potere e legittimità, sfiducia cronica che, come un vecchio mal di schiena, non sono sempre trattate con una buona parola. Cosa possiamo aspettarci da un dialogo in cui le basi stesse mancano di solidità? “Nessun invito ufficiale” è stato inviato, specifica la comunicazione. Un balletto diplomatico paradossale, in cui si affrettiamo al tavolo delle discussioni pur rimanendo impassibile sui problemi reali che sono nascosti dietro le quinte.

La delegazione ribelle, guidata dal carismatico Bertrand Bisimwa, arriva con prerequisiti che finiscono, requisiti che, lungi dall’essere gesti di buon bene, assomigliano piuttosto a un tentativo di segnare il suo territorio. Da parte loro, le autorità di Kinshasa richiedono un cessate il fuoco “incondizionato”. Impressionante quando sai che per decenni, il Congo si destreggiava tra crisi militari, violazioni dei diritti umani e lotte di potere. L’ultimatum del governo, come un colpo al martello su un chiodo già guidato, fa eco all’amarezza storica. La battaglia per il controllo delle aree strategiche nell’est del paese, in particolare Bukavu e Goma, è invitata a questo dialogo che si suppone. Lungi dall’essere un semplice scambio diplomatico, questi negoziati sono più simili a un gioco da poker, in cui tutti nascondono le carte nascoste sotto il tavolo.

E che dire della mediazione del Qatar, al crocevia tra due campi che sono diffidenti l’uno dell’altro come la peste? L’emirato, con la reputazione di diplomatico esperto nei conflitti del Medio Oriente, affronta una grande sfida. Oltre alle questioni locali, Doha deve trovare le parole giuste, tessere sottili compromessi senza offendere gli ego. Il percorso promette di essere seminato con insidie ​​e la strada per la pace duratura sembra più una danza delicata che un semplice accordo di pace.

Ma dove diventa particolarmente interessante, è in questa idea che queste discussioni a Doha, quindi apparentemente preziose, potrebbero effettivamente essere uno schermo fumogeno. Cosa diremmo se, in verità, le due parti preferissero lo status quo? Sarebbe comprensibile, in un certo senso. La guerra, con la sua privazione e sofferenza, a volte è più leggibile dei tortuosi negoziati che richiedono un compromesso difficile da accettare. La pace sarebbe quindi sinonimo di rinunce insopportabili per entrambi i campi?

Guardando oltre l’orizzonte, puoi immaginare la voce dei congolesi. Nell’est del paese, le cicatrici dei conflitti passati non sono ancora chiuse. Le popolazioni, sfinite da anni di violenza, vedono di nuovo lo spettro delle tribolazioni. Per loro, i colloqui di Doha potrebbero non essere l’inizio di una nuova era, ma una prova dei fallimenti passati, una promessa di domani disilluso.

Quindi, dopo il rinvio di questo tanto atteso incontro a Doha, sorge la domanda: questo progresso verso i negoziati è davvero un passo avanti o un semplice miraggio che accentua solo la distanza tra i sogni di pace e la dura realtà della politica? Gli sguardi si rivolgono a questa terra lontana, mentre si chiede se il vero dialogo non sia, in effetti, sul campo, dove sono in gioco le vite, lontano dalle fiere aeree del Qatar.

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