La guardia repubblicana di pallavolo ha dovuto affrontare l’abbandono delle autorità alla vigilia di una sfida africana


** Kinshasa, una squadra e i suoi sogni ai margini del precipizio: pallavolo congolese all’incrocio **

È il 9 aprile 2025 e pochi giorni prima di una prestigiosa competizione internazionale, si gioca un destino nell’ombra. La guardia repubblicana della Repubblica Democratica del Congo, un simbolo della passione nazionale per la pallavolo, si ritrova improvvisamente all’incrocio, ponderata da un problema vecchio quanto le competizioni stesse: il denaro. Il modulo di avviso è già licenziato. Tra l’ambizione e la realtà economica, il freno finanziario funge da rompicapo.

Alexis Ngamo, il segretario sportivo, non nasconde la sua preoccupazione. “L’incertezza si aggira”, dice, sia in tono pragmatico che disincantato. Una frase quasi tragica per una formazione che aspira a indossare i colori del suo paese oltre i suoi confini. Ma, in realtà, quanti sogni questo ictus è il simbolo? Oltre alla semplice preoccupazione di uno spostamento, è l’eco di un problema più grande che risuona.

La scena non è nuova. In un paese già esausto da crisi politiche, sociali ed economiche, lo sport diventa un rivelatore. La guardia repubblicana è un microcosmo, un riflesso delle difficoltà che affliggono il tessuto sociale congolese. La pallavolo, ovviamente, è uno sport collettivo che unisce, ma per questa squadra, è anche lo specchio di un’ambizione che si sta allungando, di una speranza che, lentamente, prende acqua.

Viene arrestato il ministro dello sport e del tempo libero, Didier Budimbu. Un uomo di potere, ma in che misura? Le promesse di investimenti pubblici e incoraggiamento negli sport rimangono spesso parole nell’aria, illusioni. In un momento in cui l’immagine del Congo deve brillare sulla scena internazionale, cosa fa questo ministro? Sarà in grado di venire in soccorso della VC Garde Républicaine o si perderà nel disincanto burocratico?

Va ricordato che la guardia repubblicana ha già subito l’intonaco durante la sua prima partecipazione alla Champions League, dove è stata eliminata al primo turno. L’inevitabile verità è che queste squadre sono spesso lasciate a se stesse. In rugby, basket o calcio, gli atleti congolesi devono navigare su acque travagliate, destreggiandosi tra passione e disperazione quando mancano i fondi. La guardia repubblicana, tuttavia, non richiede miracoli: solo i mezzi per muoversi, entrare nell’arena e combattere.

Potremmo obiettare che altri paesi africani, proprio come nelle crisi, fanno brillare la loro bandiera, milioni investiti nei loro atleti. Ma qui, lo spettro dell’inerzia si aggira. Cosa fare, quindi, quando la speranza sta sbattendo contro la realtà di un budget limitato alle briciole? La complessità di questa situazione potrebbe scavare un divario tra le aspirazioni dei giovani talenti e un sistema che lotta per supportarli.

La domanda, ora essenziale, rimane da porre: questi atleti, questi combattenti di pallavolo, rappresenteranno il Congo nell’orgoglio o saranno ancora un’altra vittima di un sistema che per negligenza, finisce per sterilizzare le promesse più belle?

E se la squadra non vada in Libia? Quali conseguenze impreviste di un rifiuto di finanziamenti sul morale, la coesione, persino l’impegno degli atleti? La preoccupazione di oggi potrebbe essere solo la premessa delle imminenti disilusioni. Un’altra sconfitta sul campo e fuori di esso.

In Kinshasa, dove il sogno è ancora contrario alla realtà, ogni partita è una piccola lotta per la dignità, per l’identità. Anche se ciò significa non essere ascoltato, è tempo che un dialogo reale venga stabilito a tutti i livelli, tra istituzioni sportive, aziende e stato. Se la pallavolo è un proiettile in rete, la politica deve essere una spada a doppio taglio, che decide alla vittoria? Il cuore di Kinshasa batte per la guardia repubblicana, ma la domanda rimane intatta: chi si alzerà davvero per salvare questa squadra e i suoi sogni?

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