Le piogge torrenziali mettono a repentaglio i giardinieri di mercato da Masina a Kinshasa


### Masina: quando le piogge rivelano la fragilità di un sistema agrario

Kinshasa, 9 aprile 2025. La capitale della Repubblica Democratica del Congo è sotto shock, ma non per le ragioni che si potrebbe immaginare. Mentre le notizie internazionali si allontanano dal caos locale, è un’altra tempesta che rimbomba, meno spettacolare, ma altrettanto mortale: quella delle piogge torrenziali che hanno inghiottito i campi di Masina e quindi la salute di un’intera comunità.

I giardinieri di mercato di Masina Rail1, un sito ancora classificato tra i granai agricoli della città, si alzano in eco collettivo alla voce di Eli Balanda, impegnato agricoltore, che deplora “le conseguenze delle piogge omicide” sulle culture di Dongodongo e Rice. Le parole sono pesanti e dietro il loro peso nasconde una verità toccante: questi uomini e donne, combattendo per sopravvivere in un ambiente ostile, sono oggi a un crocevia.

In effetti, questa inondazione inaspettata, che ha colpito l’ordine naturale della stagione, domande. Per questi agricoltori, novembre era diventato sinonimo di alluvioni. Come spiegare che un fenomeno, precedentemente puntuale, è ora traboccante sul calendario come un bambino scarsamente allevato? In un paese in cui i cambiamenti climatici pagano raramente per le dolci parole, si comprende rapidamente che queste maree, precedentemente prevedibili, ora diventano una spada di Damocle.

La difesa di Balanda per la costruzione di una diga, un grido di avvertimento che risuona nel vuoto delle promesse di assistenza governativa, solleva una domanda cruciale: perché, in una società così ricca da un punto di vista naturale, i resti agricoli dovrebbero essere sempre alle porte dello stato? Le basi dell’impotenza sono diventate le uniche leve dell’esistenza, o c’è un relè così insidioso che non dice mai il suo nome?

Il contrasto è sorprendente: mentre la Terra grida la carestia, i principali progetti infrastrutturali si stanno spingendo per nuovi distretti a Kinshasa, spesso a spese degli spazi culturali. Si potrebbe pensare che queste terre siano della seconda zona, dimenticate da una modernità che, nell’urgenza di uno sviluppo economico, passa oltre al concetto stesso di resilienza. Le promesse di uno stato distante, spesso ammorbidite dai tormenti della burocrazia, sembrano troppo lontani per questi agricoltori feriti.

Ciò che è scritto qui è palpabile. L’alluvione non è solo un capriccio della natura; È il sintomo di un sistema che non riesce a reinventarsi di fronte a un clima che cambia. È qui che il resoconto dei giardinieri di mercato di Masina interferisce in una più ampia realtà sociale, quello di un paese che, a causa dell’ignorare questi segnali di allarme, finisce per impantanarsi nell’immobilità.

Le cifre sono lì, congelamento. La RDC, con il suo colossale potenziale agricolo, è disabilità non solo da elementi naturali, ma anche dall’incapacità di trasformare la ricchezza in reddito, in sostenibilità. Con infrastrutture di base spesso inadatte, coltivando così un terreno fertile per le catastrofi, cosa diventiamo se abbandoniamo questi agricoltori al loro triste destino? Come possiamo parlare del progresso mentre strappiamo da queste vite la dignità che meritano?

I giardinieri di Masina Market non sono figure o semplici contadini; Sono la memoria vivente di un sistema che viene calpestato senza uno stato d’animo. Quando Eli Balanda dichiara che “siamo costretti a rifare tutto dopo questo disastro”, non parla solo di culture per il ripristino; Evoca la necessità di una società che, ancora una volta, deve porre la questione del “per chi” e del “perché”.

Quindi, mentre scorriamo questa città, questa terra fertile, chiediamo: cosa ci manca veramente? Nella frenesia della modernità, abbiamo dimenticato l’essenziale? La rabbia di questi giardinieri del mercato è anche la nostra rabbia. Un arresto silenzioso ma ardente di rivalutare le nostre priorità e, forse, di ridefinire il significato stesso del progresso, in modo che il frutto di questo terreno non sia solo un raccolto ma la promessa di un futuro condiviso.

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