La protesta per la decisione della Corte penale internazionale (CPI) di porre fine ai procedimenti giudiziari per i crimini commessi in Kenya nel 2007 dopo le elezioni ha suscitato molte reazioni. Ciò pone fine a una saga legale durata 13 anni che ha coinvolto politici keniani di alto rango.
Il vice procuratore capo della Corte penale internazionale, Nazhat Shameen Khan, ha annunciato questa settimana che avrebbe abbandonato tutte le ulteriori indagini sui crimini legati alle violenze post-elettorali del 2007. Questi tragici eventi hanno causato la morte di oltre 1.200 persone e quasi 600.000 persone sono rimaste senza casa.
Inizialmente, sei sospettati erano stati accusati di crimini contro l’umanità, tra cui omicidio e deportazione. Tra loro c’erano l’attuale presidente keniano, William Ruto, e il suo predecessore, Uhuru Kenyatta. Tuttavia, le accuse contro Kenyatta sono state ritirate nel 2014 e il processo contro Ruto è stato interrotto nel 2016 dopo che i giudici hanno stabilito che le prove dell’accusa erano troppo deboli.
L’allora procuratore capo, Fatou Bensouda, accusò un’incessante campagna di intimidazione delle vittime e dei testimoni di aver reso impossibile il processo. La Procura ha quindi aperto una nuova indagine per intimidazione di testimoni e corruzione. Altri due sospettati in questi casi, Philip Bett e Walter Barasa, sono ancora in libertà e dovranno rispondere delle loro azioni in tribunale.
La decisione della Corte penale internazionale di porre fine all’accusa ha suscitato delusione e forti critiche da parte di molti difensori dei diritti umani e vittime delle violenze post-elettorali del 2007. Essi ritengono che la giustizia non sia stata resa e che i responsabili dei crimini non saranno mai arrestati responsabili delle loro azioni.
Tuttavia, alcuni osservatori ritengono che la decisione della Corte penale internazionale sia un riconoscimento pragmatico dell’attuale situazione in Kenya. Sottolineano che la stabilità politica del paese è essenziale per evitare un’ulteriore escalation di violenza e che il proseguimento dei procedimenti giudiziari potrebbe avere conseguenze dannose su questo fragile equilibrio.
Qualunque sia la propria opinione su questa decisione, è fondamentale ricordare le sofferenze inflitte ai keniani durante questo periodo di violenza post-elettorale. Resta ancora molto da fare per garantire giustizia e riparazione alle vittime e per evitare che tali eventi si ripetano in futuro. Come comunità internazionale, è importante sostenere il Kenya nei suoi sforzi per superare questi traumi e costruire un futuro più pacifico e democratico.