Cinema Ivoriano a Parigi: tra nostalgia e ricerca dell’identità in un mondo che cambia

Come parte dei giorni del cinema africano a Parigi, il cinema ivoriano si illumina con nostalgia vibrante, evocando a sua volta l
** Costa d’Avorio a Parigi: i giorni risonanti del cinema africano **

Una bella effervescenza si è gonfiata allo Star Club, dove la Cité des Enlée si è trasformata in un crocevia di cultura ivoriana. I ** Days african Cinema Days ** 2025, che sono riusciti a riunire più di 600 appassionati e professionisti audiovisivi, ci chiedono meno sul “cosa” che sul “come”. In che modo, nel cuore di un’Europa spesso disconnessa dalle sue radici africane, questa celebrazione ridefini il paesaggio del cinema ivoriano e, oltre, al cinema africano?

Il festival ha preso il suo slancio con ** polvere di palla **, un film di culto di Henri Duparc, restaurato per l’occasione. Pochi sono quelli che non sono stati portati via: un momento nostalgico, un ponte tra il glorioso passato di un’era in cui l’Africa si è detto sullo schermo e un presente spesso ingombra da colpi riduttivi. Ma in questo rinnovato interesse per i classici, si svolge una domanda delicata: a quale prezzo viene riappropriata l’eredità?

Frequentare la proiezione di un classico come ** La donna con un coltello ** di Timity Bassori è come aprire un vecchio libro danneggiato. Ogni immagine, ogni dialogo, fa un’identità sia locale che universale. Ma questi film sono davvero per noi, o sono stati reinterpretati da un mondo che, a volte, sembra riscrivere la nostra storia a modo suo? La domanda sorge: è il cinema africano che prende forma alla ricerca dell’approvazione occidentale? Questo potrebbe sembrare un contrario tra orgoglio culturale e dipendenza narrativa.

Mentre i piccoli si meravigliavano di fronte a ** Akissi ** e ** Aya de Yopougon **, abbiamo notato un momento profondamente toccante: il desiderio di trasmettere una cultura. Fatou, questa madre che accompagna sua figlia, da sola incarna questa lotta per preservare le radici di fronte a un’assimilazione a volte brutale. Il contrasto tra queste risate innocenti e il discorso sul futuro della realizzazione cinematografica in Costa d’Avoire rivela una franca dicotomia. Come costruire un futuro brillante mentre onori le lotte e il successo del passato?

Il dibattito su “Côte d’Ivoire, una nuova destinazione per il cinema africano? Costituisce un sorprendente rivelatore sulle sfide dell’ambiente. Olivier Kissita evoca un’ottimismo palpabile, una dinamica senza precedenti in cui le istituzioni sono finalmente consapevoli delle loro responsabilità. trasmissione, ma anche il dilemma di una diaspora lontana tra l’originalità delle sue radici e la modernità dell’imperativo economico. Il cinema sta diventando un prodotto di esportazione, come le materie prime che strappiamo senza capirle davvero?

Quindi arriva la conclusione festiva: un set di DJ, un attore esilarante e Meiway, la leggenda vivente della musica ivoriana, mescolando lo zoblazo e la gioia collettiva. Questo momento esultante è indicativo di un bisogno cruciale per questa comunità: vivere e sentire insieme. Lungi dai dibattiti intellettuali e proiezioni politiche, è in questo slancio collettivo che forse sta la chiave della nostra identità cinematografica.

Questo festival, sia in movimento che interrogativo, mette in evidenza le tensioni che strappano il nostro cinema. La necessità di far parlare l’Africa attraverso l’Africa pur rimanendo ascoltata da un mondo desideroso di storie esotiche. La Côte d’Ivoire, oggi in prima linea, mostra che il mondo del cinema africano non è solo una questione di creazione, ma un problema di sostenibilità di un ricordo, una lotta per riaffermare che lo siamo. In questi giorni, più che semplici proiezioni, sono potenzialmente un ponte per un nuovo rinascimento. Resta da vedere quali ponti sceglieremo di costruire.

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